Le aziende «non esistono»
Le aziende non esistono. Esiste invece un complesso tessuto di trame, di storie personali, che si fa carne ossa e relazioni.

Nel corso degli ultimi anni, anche grazie alla partecipazione a gruppi di ricerca sociale, ho imparato che «la tecnologia» non esiste. Esiste, piuttosto, una tecnologia prodotta da qualcuno, dotata di precise caratteristiche e orientata secondo altrettanto precise intenzioni. Cosicché, il discorso che la tecnologia non è né buona né cattiva in sé ma dipende dall’uso che se ne fa, lascia molto a desiderare… ma questa è un’altra faccenda.
Allo stesso modo, neppure le aziende esistono. Non esistono in quanto entità astratte rispondenti a un concetto predefinito. Mentre, si potrebbe dire, che esse esistono come un tessuto complesso di trame, che nasce dall’intreccio di storie personali, eventi, condizionamenti, opportunità; e che un patrimonio interiore, fatto di intelletto sentimenti e spirito – certo poco misurabile ma non per questo meno reale – ne determina la nascita e lo sviluppo. Le aziende, e i loro stessi prodotti e servizi, non sono che l’emergenza concreta di queste trame; si costituiscono, come li definisce César Hidalgo (L’evoluzione dell’ordine, Bollati Boringhieri, 2016), in «cristalli di immaginazione».
Ho vissuto i miei primi trent’anni di vita in un’azienda produttrice di grappa. Lì, per un periodo di tempo, ho svolto una ricerca sulla sua identità che ha lasciato dentro di me tracce profonde. Perché, una volta che me ne sono allontanato, ho capito che la mia storia è anche quella storia; e, a sua volta, quella storia racchiude in sé una vicenda ancora più estesa, che risale a persone perdute e a luoghi in cui, ancora oggi, avverto la remota appartenenza a una radice.
Marcello Veneziani, prendendo spunto dalla fisica, ha scritto che L’Io non esiste ma vive di relazioni. Quando parlo di «trame», parlo appunto di questa intricata rete di relazioni che ci circonda, ci avviluppa, ci definisce in quanto gocce precarie di identità. Ma, soprattutto, ci interroga per chiederci chi siamo e dove vogliamo; e ce lo chiede rispetto a quel bagaglio di viaggio che, consapevoli o meno, ci portiamo appresso come un peso o come una memoria da cui trarre un senso per il prossimo futuro.
Pubblicato su LinkedIn, 13/10/2020