Amore è un dialogo
Amore è un dialogo quando, nel divenire della nostra storia, possiamo costruire un senso condiviso degli eventi, una missione più grande di noi.

Ho un rapporto con la mia compagna che ritengo privilegiato. Una relazione che abbiamo costruito nel tempo e che era, ai suoi albori, tutt’altro che scontata. L’amore, contrariamente alle mie esperienze di gioventù, si è affacciato in questa storia come una parola tutta da costruire, priva di un vero significato: e, per questo, da una parte, quasi vuota; ma dall’altra, contenitore che ho potuto riempire con la perizia e l’ingegnosità cui solo il tempo lascia spazio per maturare. Nonostante le conquiste, un recentissimo episodio – una domanda innocua che ha scatenato l’incontrollabile sequenza dell’alterco – mi ha mostrato quanto è insidiosa l’affermazione: «Amore è un un dialogo». Poiché nella sua apparente, banale, scontata semplicità, essa contiene il seme di una complessità mai veramente risolta.
Per la cronaca, la tempesta è quasi subito passata. La bandiera rossa dei marosi, che batteva sulla spiaggia, l’abbiamo ammainata; e la violenza delle parole si è stemperata nel più tranquillo sciabordio delle nostre riflessioni. La prima che mi è venuta alla mente è che se «amore è un dialogo», allora è il linguaggio che ci siamo costruiti in questi anni ad averci accompagnato; ad averci mostrato di noi i tratti luminosi e le rispettive oscurità; ad averci dato parole per nominare questo sterminato paesaggio interiore con il quale tutti noi ci troviamo a confrontarci; a volte disorientati per le sue inaspettate tonalità di colore.
Il filosofo Umberto Galimberti lo ricorda spesso nelle interviste che gli vengono rivolte: se nell’antichità erano i miti a creare il linguaggio dell’inconscio umano, oggi è la letteratura – ignorata e bistrattata dall’istituzione scuola, considerata tutt’al più come un prodotto commerciale – a costituire la fonte di quei termini che ci permettono di inquadrare esperienze come: la gioia, la sofferenza, la malinconia, la leggerezza, l’entusiasmo, la depressione, l’insoddisfazione, la solitudine, la sorpresa – e via discorrendo. A tracciare, cioè, gli itinerari con cui, non solo ci vengono mostrati i sentimenti, ma i destini di salvezza o disperazione cui essi potrebbero condurci.
La seconda considerazione che, allora, voglio fare è che se «amore è un dialogo», dovremmo probabilmente intendere questa espressione come i dialoghi che si leggono nei romanzi. Troppo spesso, infatti, alla parola dialogo è attribuita un’accezione statica: prevalentemente di scambio, di incontro, sì – come il dialogo tra genitori e figli –, ma finalizzato a risolvere un problema e non a immaginare un progetto aperto e reciproco di evoluzione. I dialoghi dei romanzi, al contrario, sono i motori di un cammino: sono parole che fanno accadere le cose. Sono traiettorie contrapposte in cui i personaggi si incontrano; e in cui questi ultimi costruiscono, nel divenire della storia, un senso condiviso degli eventi.
Dunque, se «amore è un dialogo» lo è nella misura in cui i dialoghi sono l’ossatura delle narrazioni; vale a dire delle storie nelle quali ci ritroviamo, insieme ad altri personaggi, a generare una missione più grande di noi. Nell’amore di coppia come nell’amicizia, nelle passioni personali come nel lavoro, i dialoghi andrebbero intesi come gli inevitabili passi di un percorso che si snoda oltre l’istante. Oltre la contingenza alla quale i tempi veloci della modernità ci hanno drammaticamente abituati.