Appesi alle parole
L’Appeso dei Tarocchi sta lì a ricordarci che il valore non si costruisce con l’azione: ma con il tempo dedicato a pensare che senso ha quell’azione.

Giunto vicino ai trent’anni, una maga mi ha letto le carte. Ero innamorato e tormentato, come mi immaginavo che le storie d’amore dovessero essere. In quell’esperienza divinatoria, si avvicendavano due figure: la Donna di picche e la Donna di cuori. E quanto più io desideravo seguire la prima, tanto più la seconda imponeva la sua presenza sulla scena; mi costringeva a un serrato confronto con i miei desideri e con il mio significato di «amore». Con mia grande sorpresa, otto mesi più tardi, ho conosciuto la Donna di cuori, che di lì a qualche tempo sarebbe diventata mia moglie.
Sono passati quasi vent’anni – e mi ci è voluta un’intera notte per arrivarci. Ho realizzato che quei simboli, apparsi allora nelle carte, trasfiguravano due rappresentazioni dell’amore che stavano combattendo dentro di me. Da una parte, quella romantica, nel senso letterario del termine: sofferta, distruttiva, totalizzante, lunare e pericolosamente bella; quella innamorata soprattutto di se stessa. Dall’altra, la visione solare, che chiede all’individuo di assumersi la responsabilità del proprio sentimento e di edificare, attraverso di esso, una vita luminosa e coerente; autonoma e consapevole; lontana dalla contraddittoria passione che le letture, pur importanti per il mio bagaglio sentimentale come I dolori del giovane Werther, avevano alimentato.
Nel libro La via dei Tarocchi, Alejandro Jodorowsky rievoca con l’immagine dell’Appeso quel momento di meditazione e gestazione profonda cui fa seguito un radicale cambiamento del punto di vista; e, con esso, la nuova direzione che la vita sembra prendere. Il cambio di azione è un cambio di senso e di significato attribuito alle parole. Apparentemente immobile e condannato a guardare una realtà rovesciata, del tutto incoerente, l’Appeso sa aspettare il momento giusto. Sa predere con intelligenza il suo tempo, senza scivolare nell’immobilismo. E sa che dovrà sacrificare una parte di sé per sostituirla con un nuovo vocabolario e un rinnovato intreccio esistenziale.
L’Appeso – ricco di simboli cristologici legati al mito trasformativo della morte e della resurrezione – è come un feto pronto alla rinascita. In questo senso le carte non hanno fatto altro che portare in superficie un processo interiore al quale io stesso stavo chiedendo conto. Riuscita perfettamente o meno, questa ristrutturazione del concetto di amore ha avuto conseguenze profonde sulla mia realizzazione come persona.
Sono sempre stato riflessivo, a volte immobile; in qualche caso, le mie decisioni hanno impiegato anni prima di venire alla luce. Ma in un’epoca come la nostra, dominata dalla performance e dalla frenesia dell’azione, sento di poter contribuire alla vita degli altri con il dono dell’Appeso: che stimola la riflessione e rallenta le decisioni. La carta dell’Appeso sta lì a ricordarci che il valore non si costruisce (solo) con l’azione: ma con il tempo dedicato a pensare che senso ha quell’azione e di quale percorso vogliamo che essa sia responsabile.