Dissacrazioni e consacrazioni

Dissacrare, ridurre ai minimi termini, è un atto che compiuto consapevolmente mostra la divina bellezza del mondo.

Da quello che ricordo dei miei studi in chimica, la molecola del benzene viene rappresentata con due diverse immagini: una definisce le connessioni tra gli atomi di carbonio che la compongono come un alternarsi di legami semplici e di doppi legami; l’altra raffigura la posizione degli elettroni che compongo quei legami come una distribuzione omogenea ma non collocabile in punti precisi dello spazio, e perciò indicata da un cerchio. Si potrebbe dire che la prima raffigurazione riduce la complessità per consentire calcoli e previsioni altrimenti inarrivabili; la seconda, al contrario, quella complessità la mette in evidenza a testimoniare che una traduzione matematica definitiva della materia non è di fatto possibile.

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Una versione di questo stesso problema l’ho rintracciata nella recente lettura di un saggio che Pierre Hadot ha dedicato a Marco Aurelio, l’imperatore filosofo del II secolo d.C., e alla visione della fisica come strumento di meditazione e di esercizio spirituale. Marco Aurelio – ed Epitteto prima di lui – ha incarnato il potere dissacrante della scienza, quello che nel corso della storia ha portato a negare le spiegazioni del mondo offerte dalla religione e che ha finito per condurre a una società in cui, per usare l’espressione celebre e iconica di Nietzsche, «Dio è morto».

In questo senso, una delle espressioni di Marco Aurelio che più mi ha colpito è la definizione dell’unione sessuale, ridotta a un budellino che secerne muco durante uno spasmo. Queste riduzioni brutali, racconta Hadot, hanno suggerito in molti l’idea che il pensiero di Marco Aurelio sia pervaso da un catastrofico e irrimediabile pessimismo. Ma non bisogna farsi ingannare. Se, infatti, la contemplazione fisica degli eventi viene applicata al tempo, è vero che l’istante presente si riduce a una nullità di fronte alla dimensione cosmica dell’universo, ma è altrettanto vero che, proprio per questo – per il suo essere necessario alla costituzione del cosmo – l’importanza di quell’istante si dilata all’infinito fino a rendere degno di essere vissuto anche il più apparentemente insignificante dei momenti della vita.

Dissacrare per consacrare, dunque: intendendo questa azione come «il momento rituale nel quale», se prima la realtà osservata viene ridotta ai minimi termini, subito dopo «si pone un oggetto o una persona al servizio di Dio» (la definizione di consacrazione è tratta da Wikipedia). La riduzione operata dalla fisica mostra come qualsiasi sua rappresentazione possa sempre essere negata, falsificata, contraddetta; mostra cioè quanto, in fondo, la teoria fisica non sia che un linguaggio – e, insieme, un dialogo – che tenta di rappresentare l’indefinibile della natura senza mai riuscirci. Proprio come le due versioni che la chimica propone per la molecola del benzene, la rappresentazione fisica di oggetti ed eventi è un discorso che possiamo affrontare con linguaggi molto diversi fra loro: quello preciso e circostanziato della matematica e della logica, ma anche quello simbolico e metaforico, che rintraccia nel potere evocativo dei miti, dell’arte e persino della magia, spiegazioni intuitive e complesse dei fenomeni.

Questa molteplicità e compresenza dei linguaggi consente di leggere la realtà della natura e degli eventi umani tenendo insieme aspetti distanti, contrastanti, quando non addirittura apertamente contraddittori. Io credo che, come emerge dagli studi di Hadot su Marco Aurelio, l’abilità di contemplare il mondo sotto un aspetto fisico, razionale, dissacrante – come, per esempio, quando un’organizzazione riduce a calcolo la dimensione umana – è solo la premessa per risacralizzarlo, per dedicarlo «al servizio di Dio»; o più laicamente e in maniera prosastica, al servizio della realizzazione di un’esistenza autentica; vale a dire, un’esistenza dotata di un senso che vada ben oltre il mero e pur necessario calcolo. Ecco allora che ogni accadimento, anche il più drammatico e sofferente , può essere stratificato, attraverso linguaggi diversi, in un’immagine stridente quanto armoniosa, pessimista quanto ottimista, tragica quanto contrapposta a una divina bellezza. Come ci insegna Marco Aurelio – e un po’ anche la chimica.

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