Eredità nascoste
Riceviamo e lasciamo in eredità schemi nascosti da cui siamo guidati. Portarli alla luce ha il potere di dare loro significati che cambiano le nostre storie.

Nell’estate del 2016, di fronte a un lago presso cui vado spesso a leggere, le emozioni mi hanno sopraffatto, travolto in una corrente che ha zampillato in superficie con qualche lacrima malcelata; e che, tuttavia, ho percepito come una corrente calda, dolce, liberatoria e rassicurante quanto l’abbraccio di una madre. Avevo appena concluso il libro di Carol Pearson Risvegliare l’eroe dentro di noi, in particolare il capitolo che riguarda i copioni di vita. Secondo l’autrice, ogni persona – dove, in origine, per-sona è la maschera di legno portata dagli attori del teatro antico attraverso cui è passa il suono della parola – non fa che interpretare una parte; una trama già scritta, poiché ereditata da modelli archetipici ai quali la nostra natura più profonda si conforma e aderisce. Molti chiarimenti, dopo quella rivelazione, sono venuti alla luce. Comportamenti e scelte che mi erano apparsi errori sciocchi a cui non mi ero saputo sottrarre si erano trasformati in altrettanti frammenti di una sceneggiatura che stavo inconsapevolmente mettendo in scena e che ora si mostrava nella sua nuda evidenza. Il senso di inadeguatezza che avevo provato fino a quel momento si era per certi versi dissolto. Come accade ogni volta che una visione chiara si sostituisce alla confusione delle emozioni e alla turbolenza dei segnali che vengono dall’inconscio, il panorama si ridisegna e le storie vissute assumono forme e sembianze che prima erano loro precluse, nascoste, invisibili.
Altre volte avrei sperimentato la medesima sensazione: una libertà assaporata che si fa strada in mezzo al buio e che, in maniera non troppo diversa da quanto ci è accaduto da bambini, illumina le stanze dell’esistenza contrastando quel senso di angoscia che l’oscurità e la mancanza di punti di riferimento suscita. Certo, quella lettura era solo il primo passo dentro un paesaggio ben più ampio. Avrei capito in seguito che il copione di vita individuale che recitiamo è solo un dettaglio nella cornice della famiglia, dei costrutti sociali, dei modelli economici e culturali dai quali siamo stati intessuti e, in ultima analisi, di quel territorio vasto e sconosciuto che si perde nella lontananza della storia umana e nella struttura organica di cui, personalmente, solo ora sto maturando qualche consapevolezza.
Proprio in questi mesi ho fatto scoperte sulla natura della mia personalità che, al pari della lettura di Carol Pearson, stanno rischiarando un orizzonte di cui non avevo percezione. E, del resto, la stessa biologia contemporanea ha preso coscienza di come le relazioni tra cultura e natura siano strette; di come gli eventi, e le storie in cui essi sono inseriti, si richiamano di continuo e costituiscono un unico corpo di cui il DNA trasmette, una generazione dopo l’altra, traumi e riparazioni.
Ciò che qui mi preme sottolineare è l’esito di questa esperienza di scavo che, già in un’altra occasione, avevo definito archeologica. La storia personale, così come è avvenuta, non può essere cambiata; e probabilmente neppure i copioni che l’accompagnano possono essere del tutto elusi, dal momento che essi ubbidiscono a esigenze troppo profonde e troppo legate ai processi vitali. Nonostante questo, ogni persona – ora possiamo dire: ogni attrice e attore – mantiene la facoltà di dare all’interpretazione del suo ruolo una particolare sfumatura che modifica radicalmente il senso della scena e che, in estrema sintesi, cambia la storia di cui siamo protagonisti. Oltre a ciò, non è indifferente il fatto che ciascuno di noi può indurre, in misura non trascurabile, anche altri attori a considerare tonalità inedite per i loro copioni di vita. I primi attori cui rivolgermi sono i miei figli ed è con loro che sto lavorando affinché possano ereditare schemi, per così dire, ristrutturati ed emancipati da quei pregiudizi che per me hanno rappresentato un freno.
Nella prospettiva che qui abbiamo considerato, il Filosofo in meditazione di Rembrandt sembra evocare l’eredità che portiamo e il percorso per riscoprirla. Il filosofo dentro di noi – perché tutti siamo filosofi nel momento in cui rivolgiamo a noi e agli altri le domande essenziali per la vita – è il custode di questa eredità; è il depositario e il curatore dei significati che orientano le nostre scelte. A noi l’impegno di scendere lungo la scala, sfidando i capogiri che potrebbero sorprenderci, per infilarci nello spazio angusto della nostra umanità; e per risalire ogni volta con una parola qualitativamente più ricca di quella alla quale avevamo affidato le nostre esperienze. In questa verità – che non è solo pensata, ma sentita nell’anima e vissuta nelle fibre del corpo – la sapienza arcaica e la filosofia antica hanno anticipato prima di ogni neuroscienza la definizione di saggezza. Alla sua ricerca consegno il fine ultimo di questa riflessione e la conferma che un cambiamento reale è intervenuto nella mia esistenza dopo che alcune tra le eredità nascoste sono riemerse al chiarore del giorno.