Gli eroici viaggi dell’esistenza
Leggende, miti, romanzi, film. Tutti ci tramandano un’antica conoscenza pratica: pensarci come viaggiatori eroici, cioè consapevoli, dell’esistenza.

Fino a un passato relativamente recente mi sono trovato a fronteggiare, con cadenze periodiche, piccoli e grandi angoli di vita nei quali la luce ha smesso di arrivare. Qualche volta queste eclissi improvvise hanno avuto durate limitate; altre volte si sono prolungate per giorni o settimane, le prime che ricordi di aver attraversato si sono protratte per alcuni mesi. Questa navigazione burrascosa ha compromesso non di rado i progetti che avevo messo in cantiere e che, in qualche modo, la tenacia del tempo ha fatto sopravvivere in attesa di essere realizzati.
Quando ho iniziato a occuparmi di storytelling, questi naufragi hanno assunto una forma inedita; in un certo senso hanno cambiato pelle. La struttura intima della narrazione, infatti, mi ha mostrato che le contraddizioni dell’esperienza – vorrei definire in questo modo gli istanti di oscurità che mi hanno sorpreso lungo il percorso – costituiscono una porzione essenziale del cosiddetto Viaggio dell’Eroe: quella costruzione concettuale in cui il protagonista della storia scende nel punto più profondo di sé e, per così dire, si gioca gli esiti del suo destino. Nelle storie confezionate per i romanzi, i film e le serie televisive, quasi sempre il personaggio in questione supera brillantemente l’esame che lo attende; nelle vite individuali è più facile, invece, che l’atterrimento provocato dalle tenebre sia troppo grande per essere affrontato alla prima occasione. E così, il buio si ripresenta, nero e ineludibile; e il viaggio ricomincia.
Comprendere la struttura contraddittoria della narrazione mi ha consentito di rovesciare la prospettiva entro la quale si manifestavano l’angoscia, il disorientamento, l’attesa della condanna. Da un certo momento in poi, ho capito che non è la notte ad avvolgere e inghiottire i bagliori diurni, ma questi ultimi a essere partoriti da radici occulte, nascoste sotto la terra. I processi creativi, che si sono verificati in corrispondenza di questi terremoti emozionali hanno, cambiato di segno – e, perciò, anche di significato. Non ho più guardato le idee, che avevo modellato con tanto entusiasmo, abbandonarsi a una cecità senza scopo. Al contrario, ho osservato i deboli, anche se perturbanti segnali che ne annunciavano la venuta.
Leopardi, nella Ginestra, appone quel versetto di Giovanni secondo il quale «Gli uomini preferirono le tenebre alla luce» (Gv, 3,19). Un tempo ero assolutamente convinto che vivere con passione fosse la ricetta migliore per conquistare le mete degli eroici viaggi dell’esistenza. Oggi non sono più così certo di questa affermazione. Passione è, per l’appunto, patire; in un certo senso, orientare lo sguardo verso l’oscurità, anziché lasciar cogliere agli occhi le prime avvisaglie del mattino.
L’insegnamento più proficuo che ho tratto da questo cambio di punto di vita è che – è vero – disporre la sequenza degli eventi secondo un ordine imprevisto modifica gli eventi stessi. La notte non è venuta meno. Ma il cielo freddo e infernale mi ha lasciato intravvedere alcune stelle e il risveglio mi è parso più mite, più dolce, meno gravido di inquietudini.