Il confine delle parole
È solo quando accettiamo un confine incerto nelle parole che possiamo dire di essere umani, che possiamo dire davvero di comunicare.

Mi hanno sempre affascinato i luoghi di confine, tanto che ne frequento uno da quasi cinquant’anni. Lì, le parole si mescolano fra un dialetto dalle assonanze tedesche e una lingua reto-romanza a cavallo della quale si perde il confine che quelle parole esprimono. Come gli sguardi austeri e ordinati delle architetture, anche il vocabolario di quel confine offre una comunanza di significati; segnati tuttavia dagli echi dei venti che – l’uno da nord e l’altro da sud – confondono e mescolano il senso attribuito alle cose attraverso quello straordinario potere organizzatore detenuto dal linguaggio.
Questa considerazione, forse, offre la misura di come la delimitazione delle esperienze (e dei sentimenti che esse suscitano) in parole sia del tutto arbitraria e soggetta ai mutamenti che si fanno strada nel corso dei luoghi e dei tempi. Ma, lo respiriamo bene in questi anni difficili, non sono pochi coloro che vorrebbero far cessare i venti ed erigere sui confini i muri, materiali o simbolici, per restringere le fluttuazioni dei significati di una realtà altrimenti troppo complessa da comprendere.
In qualche modo, la frequentazione dei confini – quelli fisici, ma anche quelli dell’arte, del pensiero, della miseria, della diversità e di molte altre terre di frontiera – ci mostra la precarietà del senso che attribuiamo al reale. Questa indeterminazione di fondo, che ho maturato con le mie scorribande scientifiche dentro la storia della recente fisica, non è altro che la necessità di confrontarsi con la domanda. Già, la domanda – un’entità che ripetutamente si affaccia nelle riflessioni del mio ultimo periodo e che se ne sta in agguato, oggi come tanti anni fa, a tormentare le mie giornate mai rassicurate da una risposta definitiva.
Va detto però che questa strutturale incertezza è la garanzia per mantenere in vita quel mondo straordinario dell’esperienza interiore che definisce la nostra stessa identità di esseri umani. È qui, se vogliamo, che possiamo individuare la definizione di comunicazione: quella pratica, tutta umana, che trova la libertà nell’evanescenza di una linea sottile e incerta, nel confine delle parole sempre aperto a nuovi significati.