In cerca di una missione
La missione non è una destinazione cui arrivare, ma una spinta da corrispondere. Un’energia incanalata in un certo schema. Non è un compito, ma darsi un compito.

Potrei raccontarmi – probabilmente con un luogo comune – come un susseguirsi di abbozzi, di tentativi, di ramificazioni, di slanci terminati in un vicolo cieco e in un saliscendi di umori che hanno disseminato di fratture il mio percorso. Quando sono arrivato alla scuola di pratiche filosofiche, che ho frequentato negli ultimi tre anni, ero refrattario a qualsiasi idea di missione: nella misura in cui essa venga pensata come un tragitto preordinato e una destinazione che prima o poi ognuno di noi finirà per raggiungere. In gioco, c’era il significato di due parole, due chiavi per la mia attuale professione, con cui ho sempre avuto un rapporto problematico: «miglioramento» e «crescita personale».
Se da adolescente mi sono innamorato di Nietzsche, eleggendolo a maestro e guida spirituale, è perché non ho mai amato l’immagine di un mondo che marcia verso il progresso. Come la mia generazione ha potuto constatare – e come la passione per la storia mi sta mostrando con innumerevoli esempi di civiltà passate – il progresso non è un concetto scontato e affidabile; anzi, direi che esso è il risultato di uno scorcio di panorama quando quest’ultimo viene opportunamente ritagliato dallo sfondo e preso come unico esemplare di una vicenda in realtà assai più complessa.
Ancora di più, fin dalle prime battute del mio dialogo con la vita, ho dubitato dell’idea che il tempo sia un esperienza lineare. Un orizzonte che si dispiega da un punto di partenza (un peccato originale caratterizzato da uno stato di minorità) a uno di salvezza che che prima o poi colmerà i vuoti e ci caverà fuori dalle contraddizioni che siamo chiamati a interpretare. A questa immagine del mondo ho imparato a sostituirne una alternativa, in cui il tempo scorre secondo cicli e trasformazioni, con un’assonanza tutt’altro che estranea alla nostra percezione quotidiana. Il tempo è un «eterno ritorno», per dirla con Nietzsche, che, come ogni giornata vissuta, si ripete sempre uguale a se stesso ma con esiti sempre diversi. Un movimento nel quale posso rincorrere in senso destinale una meta sconosciuta – che mi chiede di investire, accumulare, pianificare, organizzare, certificare la solvibilità dell’impegno preso quando vorrò riscuotere il premio in una realtà sempre di là da venire; oppure un movimento da cui lasciarmi trasportare, che intende la redenzione da quello stato di minorità, cui sopra ho accennato, semplicemente come la continua presa di coscienza del rapporto tra se stessi e i cambiamenti che intervengono e ci trasformano.
Per la verità, non posso dire che questa visione si sia dimostrata felice in ogni occasione. Essa, al contrario, ha contribuito non di rado a deformare ulteriormente le mie fratture. Per questa ragione ho profondamente rivisitato il concetto di missione cercando di trovare un significato che finalmente mi potesse appartenere. Ecco allora che missione è diventata ai miei occhi non una destinazione cui arrivare ma una spinta da corrispondere. Potrei definire la missione – ciò che, effettivamente, è essenziale a governare il senso di un’esistenza altrimenti lacerato dalle continue incoerenze degli eventi – come l’energia vitale che, incanalata in uno schema determinato dalle condizioni biologiche e culturali, può essere dissipata creativamente, con appagamento e con un senso di utilità e di coerenza. In altre parole, la missione non è un compito, ma darsi un compito. Individuare con l’esercizio del pensiero, dell’intuizione, del sentimento, della materialità delle esperienze, lo schema che risponde con maggiore soddisfazione al contesto in cui ci troviamo.
La missione, per quanto mi riguarda, è quello sforzo continuo di cogliere i propri rapporti col mondo. È la ricerca di un’equilibrio, l’edificazione di un’armonia che ha per «cosmo» – l’ordine delle cose – non un’immagine statica ma la consapevolezza di un processo. Il quale, come tutti i processi incalza, sfida, vaglia a ogni passaggio la sensatezza delle sue argomentazioni.