La chiara luce del risveglio
Praticare la filosofia per me è stata una via di risveglio e di liberazione. La ricerca di un centro, di un equilibrio che si mantiene stabile reinventando il senso e i significati dell’esperienza.

Mi aveva rimproverato con fermezza ma con amore. A una collega ormai prossima alla pensione, che insegnava nello stesso istituto in cui sperimentavo le mie prime docenze, avevo raccontato dell’evento più traumatico della mia vita. Quello nel quale, gettandomi tra le braccia di Dioniso – e di un sapere tanto seducente quanto pericoloso –, mi ero infine ritrovato come una scatola vuota che avesse perso qualsiasi funzione: vuota di senso, di compiti, di scopo. Così lei, che pareva aver capito perfettamente la natura della mia esperienza, non aveva potuto fare a meno di ammonirmi affinché ricordassi che avventure del genere sono lecite solo in compagnia di un maestro che sorvegli cosa succede lungo la strada dell’iniziazione. Ciò che però a quella voce materna non ero ancora compiutamente in grado di dire, è che una guida spirituale, in effetti, l’avevo trovata. La voce dei filosofi, che aveva finalmente assunto un ruolo decisivo dopo anni di disimpegnata frequentazione, mi investiva di un chiarore sempre più lucente e mi accompagnava fuori da un’oscurità che pure non mi pento di avere visitato, e che anzi ha costituito il primo passo per tracciare una via di riscatto.
René Guenon, in un libro che tratta L’esoterismo in Dante (Adelphi, 2001), ravvisa lo stesso genere di percorso iniziatico anche nella Divina Commedia e rintraccia comunanze con molte tradizioni esoteriche antiche. «I Cieli sono gli stati superiori dell’essere; gli Inferi, come indica del resto il loro nome, sono gli stati inferiori; e quando diciamo superiori e inferiori ciò va inteso in rapporto allo stato umano […]. Da un lato, la discesa [agli Inferi] è come una ricapitolazione degli stati che precedono logicamente lo stato umano, che ne hanno determinato le condizioni particolari e devono a loro volta partecipare alla «trasformazione» da compiersi; dall’altro lato, essa permette la manifestazione, secondo certe modalità, delle possibilità di ordine inferiore che l’essere porta ancora in sé allo stato non sviluppato, e che devono essere da lui esaurite prima che gli sia possibile giungere alla realizzazione dei suoi stati superiori» (pagg. 65-66).
In altri termini, è possibile raggiungere la pienezza della vita solo nella misura in cui siamo disposti ad attraversare il territorio impervio e doloroso di tutte le contraddizioni che ci determinano. Un territorio al confine tra la constatazione cosciente – eppure incontrollabile – di emozioni bisogni desideri e abitudini, e il mondo sommerso delle nostre radici. Un mondo che affonda non solo nell’ambiente e nei condizionamenti che abbiamo subito; ma anche nella nostra umanità più profonda, nella memoria biologica della specie; in ciò che farà dire a Rimbaud «Io è un Altro», io sono qualcosa dentro di me che non conosco.
Non c’è dunque realizzazione né luce senza il pieno riconoscimento di quanto ci è oscuro. Se prima ho parlato di riscatto, è proprio perché voglio indicare la pienezza di sé come il processo mediante il quale diventiamo liberi di comprendere quanto il nostro patrimonio genetico e culturale intervenga nelle scelte e nei comportamenti quotidiani. Da questo punto di vista, la libertà è la capacità di esaurire i condizionamenti, di farli propri a tal punto che non si può non essere ciò che si è. Lo svuotamento di cui ho parlato, è stato in definitiva una messa in discussione profonda e radicale; una necessaria, anche se un po’ troppo spericolata, discesa agli Inferi che mi ha consentito di aprire l’uscio alla contraddizione, di creare un vuoto per accoglierla.
La filosofia è una via di liberazione appunto perché è la pratica con la quale trasformare le contraddizioni emergenti in sensi e significati. Attingendo a schemi provenienti da una vasta tradizione di pensiero, essa è lo strumento che consente di armonizzare le insensatezze in un racconto coerente. Non però con lo scopo di ricavarne una struttura definitiva; ma piuttosto con l’intenzione di lasciarsi stupire da nuove «fratture», e mantenere così aperta la connessione con l’infinita sorgente della vita, con il sentimento di essere al mondo.
L’ascesa dagli Inferi al Cielo è, in questo senso, un movimento solo apparente. Il vero scopo del viaggio – il vero scopo della rigenerazione di sensi e significati – è raggiungere un equilibrio, riconoscere e restare allineati al proprio centro mentre tutto il resto intorno si muove. «Ogni punto – dice Guenon – possiede virtualmente quelle possibilità ed è, se così si può dire, il centro in potenza; ma lo deve diventare effettivamente, con una identificazione reale, per rendere davvero possibile lo sviluppo totale dell’essere» (pagg. 92-93).
Giovanni Segantini, nel dipinto La raffigurazione della primavera, sembra collocare al centro della scena proprio la ricerca di armonia tra l’unità e la lotta con le forze della natura; quelle che ci sovrastano dall’esterno e quelle che ci possiedono dall’interno. Il chiarore e la nitidezza del paesaggio illuminano la potenza di queste forze, ma consentono anche di accoglierle e integrarle. In definitiva, ecco la funzione che attribuisco alla filosofia: guidarmi nel governare i mutevoli cicli della vita; condividere questa azione-riflessione con chi vuole fare lo stesso percorso, poiché chiunque può avere accesso alla propria umanità e la facoltà di interpretarla come un viaggio.