La musica della vita
Come l’esperienza, la musica è fatta di pieni e di vuoti, di necessità e imprevedibilità. Ecco perché è un modello per imparare l’arte di vivere.

Beethoven, Sinfonia n. 5, primo movimento: Allegro con brio. Tatatataaaaa, ta-ta-ta-taaaaa… Ho ascoltato, credo per la prima volta, questo brano alle scuole medie. Di certo mi aveva impressionato la figura che accompagnava il paragrafo su Beethoven nel libro di musica, e che rappresentava la traduzione visiva delle celebri battute iniziali della sinfonia realizzata da Kandinskij. La lotta col destino – mi pare titolasse quello stesso libro il commento all’opera. E in effetti, chi ascolta incede tra perentorie asserzioni, commenti struggenti, entusiasmi e rilassamenti, passaggi tempestosi e battute quasi interrogative su quale sia la destinazione finale di questo viaggio che Beethoven ha disegnato. Una sensazione non troppo diversa da quella che provo osservando l’attualità, carica di incertezze e di eventi che, in qualche misura, sembrano alludere all’imprevedibile e, contemporaneamente, all’inesorabile.
Potremmo anche dire che, di questi tempi, la nostra volontà di agire è messa alla prova dalle due polarità con le quali il modello culturale in cui siamo immersi ha dato forma all’esperienza. Da un lato l’essenza: l’idea che l’agire individuale e collettivo abbia in sé un senso e tenda verso una meta ideale di salvezza; la domanda, cioè, che si chiede se ho una missione cui assolvere. Dall’altro lato, la sorpresa sconcertante e imprevedibile dell’esistenza: quella matassa di sensazioni, emozioni e desideri che irrompono senza preavviso nella quotidianità e – come penso sia accaduto con la recente pandemia – sono in grado di mettere in lutto le fondamenta, peraltro già pericolanti, di un intero sistema di pensiero.
Lo storico Lucio Villari, rileggendo il Rinascimento come periodo di drammatiche incertezze, ha richiamato queste due polarità nelle rappresentazioni tragiche e comiche offerte dal teatro di Machiavelli. L’una, il tragico, è il rapporto tra volontà e necessità, tra l’aspirazione alla libertà di scegliere e il dovere di assecondare una conclusione già scritta; o meglio: il compiersi della propria personalità che gli eventi e i limiti esterni rendono inevitabile. L’altra, il comico, è invece il rapporto tra volontà e caso, il cui esito straniante ha però l’effetto di risolversi nell’ironia: vale a dire, nella scelta di accogliere l’imprevisto come un gioco sul quale immaginare una realtà differente. È il principio dell’umorismo, ma anche del pensiero laterale e dell’innovazione.
Questa sequenza di possibilità e di scarti, di necessità e di imprevisti, di pieni e di vuoti – è, in fondo, il linguaggio stesso della musica. La musica è una metafora e un concreto modello per trasformare le dissonanze della propria esperienza in una ricerca di armonia, di equilibrio e di leggerezza. È un’integrazione voluta e ricercata tra le costrizioni dettate dalla contingenza e l’imprevedibilità cui essa ci espone. Accordare, dunque, la vita sul ritmo e sul timbro della musica vuol dire trovare una propria personale espressione per incarnare il rapporto tra i pieni e i vuoti, i suoni e i silenzi, di un inquieto vivere.
Come la ricchezza delle parole, anche quella della musica può suggerire quanto il movimento della vita sia o meno consapevole in noi stessi. E come ha fatto Kandinskij, quel ritmo può persino mostrarsi sotto gli occhi in tutta la sua potenza, a prescindere dal genere artistico con il quale viene rappresentato. Perché non è solo la musica, ma la stessa arte di vivere che in questo esercizio di ricerca mettiamo in gioco.