L’arte di fare chiarezza

Chiarire non è tanto distinguere e separare, quanto piuttosto risalire a un concetto che include tutti gli altri e che, al tempo stesso, ne sfuma i dettagli.

L'albero delle lingue indo-europee

Fino a non troppo tempo fa sentivo convivere dentro di me spinte divergenti. Soprattutto nell’ambito del lavoro avvertivo che le mie aspirazioni mi portavano in direzioni diverse, con il risultato, perciò, di non avere un obiettivo chiaro e definito ma piuttosto una lacerazione interna che per anni ha condizionato la serenità delle mie scelte e la qualità di vita.

Nel suo libro L’evoluzione creatrice (Rizzoli, Milano, 2012), Henri Bergson individua la pulsione generatrice della vita come causa delle differenti linee di evoluzione. In un certo punto della storia evolutiva, per esempio, la convivenza tra due tendenze opposte, lo sviluppo dell’istinto e quello dell’intelligenza, si è fatta a tal punto insostenibile da determinare una separazione: da una parte le creature che fondano la propria sopravvivenza sul rigido automatismo dell’istinto; dall’altra parte, le specie che hanno organizzato le proprie pratiche vitali intorno a un ordine ricavato dalle funzioni dell’intelletto. Per inciso, da questo ragionamento di Bergson discende che la realtà precede l’intelligenza, e non viceversa come molti filosofi hanno supposto: l’intelligenza è il prodotto di una storia evolutiva che inizia ben prima dell’intelligenza stessa.

I passi di Bergson a questo proposito mi hanno ricordato il comportamento immaginativo dei bambini: aspirare a diventare inventore, astronauta, pittore o ballerina, comporta delle scelte che agli occhi degli adulti risultano incoerenti, ma che nella visione dell’infanzia convivono senza restrizioni. Nel corso della storia, qualcuno ha giudicato questo atteggiamento insensato e immaturo; qualcun altro ha cercato invece di recuperare la dimensione complessa e contraddittoria che, per usare un’espressione pascoliana, il Fanciullino interiore riporta alla luce.

Venn_B_sottoinsieme_A_esempio

Questa premessa mi è di appoggio per proporre un certo concetto di chiarezza, che ha in sé un elemento di paradosso. L’arte di fare chiarezza, io credo, non consiste tanto nel distinguere e separare i fatti o le idee, attraverso l’uso della logica e dell’argomentazione, che restano, beninteso, uno strumento analitico di grande importanza; ma, all’opposto, nel racchiudere i fatti e le idee in un insieme sempre più ampio, sempre più capace di contenere in un concetto generale tutti i sottoconcetti che da esso discendono.

Da ciò consegue che la chiarezza è: in primo luogo, un processo progressivo di inclusione tale per cui da un concetto primitivo derivano i molti aspetti dell’esperienza (ma, allo stesso tempo, i molti aspetti dell’esperienza sono immediatamente il concetto primitivo); in secondo luogo, è un percorso che allenta le definizioni, che le sfuma, che rende più labili i loro confini fino quasi a fonderle l’una nell’altra, e che, pertanto, richiede di accostare al linguaggio ordinario un altro linguaggio, simbolico e metaforico, con cui leggere una tale complessità.

Chiarire, in qualche modo, è risalire all’origine. Concepire gli eventi dell’esperienza e le loro contraddizioni come elementi divergenti di un’unica potenza generatrice. Ripercorrere a ritroso la via che dal nocciolo dell’infanzia si è diramata, sotto la pressione di diverse tendenze, lungo l’intero albero dell’esistenza. Da questo punto di vista, chiarire significa ricercare nella memoria non il ricordo nostalgico e perfetto del passato, né la causa psicoanalitica di un trauma, ma il seme propulsivo, quella corrente sotterranea e creatrice che, ripulita dagli strati degli schemi culturali, alimenta il presente e il futuro.

Il genere di chiarezza di cui stiamo parlando non conduce al controllo maniaco e pervasivo che il nostro tempo propone e adotta, e nel quale misurare è l’atto chiarificatore per eccellenza. Essa procede, invece, verso la progressiva perdita del dettaglio; ma anche verso un’unificazione delle esperienze interiori ed esteriori che, per l’essere umano contemporaneo – a me è successo così –, è persino difficile da immaginare. Chiarire, dunque, è un esercizio spirituale per ricomporre le fratture che dentro di noi avvertiamo ancora aperte, è riconciliare i contrasti in uno spazio di sé sempre più ampio e diffuso. Come si fa con la ricostruzione delle lingue antiche, chiarire è risalire alle parole-radice con cui raccontare la nostra vicenda.

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