Linee di forza
Il passato è un flusso che ci attraversa, una corrente. Noi siamo quella corrente. Siamo le linee di forza, il movimento che produce il mondo intorno a noi.

Fino a tempi relativamente recenti ho guardato il passato come un’immagine statica, spesso con un certo rimpianto per le scelte che non ho avuto il coraggio di compiere o di cui non avevo saputo individuare le conseguenze; né quelle che si sono rivelate indesiderate, né altre che avrebbero potuto indicarmi una via diversa e più produttiva. Questa immobilità non mi ha impedito tuttavia di ricostruire ripetutamente il passato, quasi che i suoi componenti fossero pezzi di un puzzle in continua metamorfosi; ma in ogni caso componenti vincolati a quella sola dimensione.
Un’immagine forse più efficace, per ricavare un rapporto costruttivo con il passato, consiste nell’insufflarlo, nel metterlo in movimento. Come se il passato fosse un alito di vento, a tratti più o meno potente, pronto a sospingere chi lo ha vissuto con la stessa sensazione che danno le folate quando ti colgono alle spalle durante una passeggiata. Riguardato da questo punto di vista, il passato è un flusso che ci attraversa. È una corrente che trasporta significati e li proietta sul paesaggio antistante; ma che, così facendo, traccia continuamente scelte e decisioni sulle quali possiamo avere solo un margine ridotto di libertà.
Esposti a una tale e ineliminabile condizione, i nostri percorsi si muovono determinati da questa forza impulsiva secondo traiettorie che ci appaiono imprevedibili. Potremmo allora definire il saper vivere come l’esercizio che individua le linee di forza da cui la nostra personale corrente vitale è caratterizzata. Ma forse ancora non basta. Perché, per realizzare un’esistenza che sia anche felice, abbiamo bisogno che queste linee vengano assecondate, evitando così di intraprendere cammini battuti solo da venti contrari.
A prima vista, questa ipotesi somiglia a un atto di rassegnazione. In realtà essa contiene in sé il fulcro di una liberazione più grande. Riconoscere e adeguarsi alle linee di forza aiuta a vedere come esse siano le molteplici variazioni di equilibrio entro le quali il nostro processo vitale si svolge. Quando il passato viene compresso in nomi, date concetti ed etichette, l’artificio del linguaggio maschera il ribollente flusso che lo avvolge e offre l’inganno di poterlo racchiudere in una scatola pronta per essere archiviata. Su questa supposizione, del resto, si reggono sia l’istruzione nozionistica che fonda gran parte delle nostre conoscenze, sia quella serie di rapporti, sociali e professionali, che rinchiude chi ci sta di fronte con definizioni, titoli e pregiudizi; che lo rende in tal modo comprensibile e riducibile a controllo.
Non che le strutture del linguaggio siano del tutto inutili; anzi, è difficile pensare senza di esso l’edificazione di una società e di luoghi sicuri in cui vivere. Ma vale la pena tenere presente il processo che tra una parola e l’altra, tra un’etichetta e l’altra, tra un concetto e l’altro, si dipana e rimane irriducibile a qualsiasi organizzazione. Noi siamo quel processo; noi siamo un passato che, letteralmente, si srotola; noi siamo esattamente quella corrente che ci attraversa e che ci modella. Siamo le linee di forza e il movimento con cui quel paesaggio – il «mondo intorno a noi» – diventa realtà; la nostra realtà da cui troppo spesso ci percepiamo estranei.