Memoria, ricetta di futuro
In un tempo che ci invita di continuo a dimenticare, creare memoria è l’atto con cui riprendersi la propria identità e la possibilità di un futuro.

Giorni fa ho fatto un esperimento. Ho pensato di leggere, insieme ai miei figli Anna e Valentino – 13 e 10 anni – la Lettera sulla felicitàdi Epicuro.
In quel testo, infatti, c’è un passaggio che mi affascina e mi invita alla continua riflessione. Perché connette la ricerca della felicità non al momento, all’attualissimo carpe diem, a quel concetto di qui-e-ora sul quale ho speso parole di critica negli ultimi mesi; ma alla lucida ricostruzione delle cause e delle scelte che hanno condotto all’istante presente e che trasformano quest’ultimo in una durata, cioè in un tempo e in un’azione che fa della consapevolezza la vera responsabile della vita felice.
Quando dunque diciamo che il bene è il piacere, non intendiamo il semplice piacere dei goderecci, come credono coloro che ignorano il nostro pensiero […]. Perché non sono di per se stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e donne, i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola che fanno la dolcezza della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che sono per l’animo causa di immensa sofferenza.
In altre parole, è la scelta di rapporto con quelle cause e con quel presente a rivelare il margine di libertà sulla vita e sul nostro futuro. Sulla vita, poiché non sono le cose che accadono, ma i fatti – per dirla con Wittgenstein –, la loro interpretazione, a generare il senso dell’esistenza. Sul futuro, perché esso è la possibilità di immaginare l’avvenire sulla base di scelte divenute una coerente successione di eventi.
In un tempo che ci sollecita continuamente a passare al prossimo, post, alla prossima immagine, alla prossima notizia, al prossimo solleticante stimolo, ecco che la costruzione di una memoria diventa l’atto rivoluzionario per riappropriarsi della propria identità. Quest’ultima, non intesa in senso statico, cristallizzato; ma interpretata per l’appunto come un divenire che è edificazione dei fatti e dei significati con i quali descriviamo la nostra esperienza vitale.
Quando parlo di memoria, non intendo dunque indicare il semplice ricordo, il puro record di informazione. Memoria, in questa accezione, non è una registrazione neutrale nel database della vita. È invece, come cita il vocabolario, «la capacità, comune a molti organismi, di conservare traccia più o meno completa e duratura degli stimoli esterni sperimentati e delle relative risposte». E con essi di costruire un tesoro lessicale con il quale identificare un’unità di percorso.
A questo punto, forse vi domanderete che ne è stato del mio esperimento. In fondo, non ho fatto altro che tentare l’abbozzo di una memoria: per dare senso, con essa, a quell’interrogativo che i miei figli mi rivolgono circa l’incomprensibile (per loro) natura del mio lavoro. Ma la domanda che mi fanno, per la verità, è ben più profonda e potrebbe suonare così: «Tu, chi sei? Chi sei per noi, ora e nel nostro futuro?». Per questo, quando la lettura lenta e pacata mi ha aperto la speranza di avere centrato l’obiettivo, le parole di Epicuro mi si sono spezzate in bocca con un pianto.
L’abbraccio di risposta che ho ricevuto ha ribadito ciò che il testo riconosce come essenza della felicità; e che io, a mia volta, vi rivolgo come il più intimo degli inviti.
Medita giorno e notte tutte queste cose e altre congeneri, con te stesso e con chi ti è simile, e mai sarai preda dell’ansia. Vivrai invece come un dio fra gli uomini. Non sembra più nemmeno mortale l’uomo che vive fra beni immortali.