Parole sorgive
Come le parole, anche le persone hanno una loro etimologia. Una storia evolutiva che ne definisce progressivamente l’identità.

Nel corso di questi ultimi anni ho imparato a rileggere le mie esperienze di vita come un incessante deposito di eventi e di significati. Un po’ come avviene con il bacino di un torrente in cui l’acqua trasporta continuamente sali, residui, microorganismi, i quali, seppure molto lentamente, definiscono nel tempo il contesto. È vero, l’acqua passa e se ne va, trascinando con sé molto di quello che contiene; e tuttavia tanto il sedimento quanto ciò che la corrente erode testimoniano la storia che lì si sta svolgendo; anzi, si può dire che proprio questo movimento, questo continuo mutamento d’ambiente, è tutto ciò che costituisce l’esistenza del torrente in quanto tale.
Le parole che riempiono i dizionari possono essere in qualche modo considerate piccoli torrenti che rappresentano una storia solo in apparenza circoscritta alle definizioni reperibili tra le pagine del vocabolario. L’analisi etimologica e semantica – che fa parte della pratica filosofica applicata alla risoluzione di problemi e sfide esistenziali – è una via molto spesso illuminante per comprendere come le implicazioni di una parola abbiano riflessi diretti sulla vita personale: non perché in sé il cumulo di significati che la parola contiene possa piegare l’esperienza di qualcuno con il solo uso di quel termine; ma piuttosto per il fatto che la storia in esso contenuta è la traccia di una tradizione culturale fitta di concetti e pregiudizi rispetto ai quali ci troviamo inconsapevolmente a operare scelte, ad adottare comportamenti e ad assumere atteggiamenti che si riflettono negli esiti della nostra esistenza.
Come le parole, anche le persone sono un’etimologia: un tracciato evolutivo che ne definisce progressivamente l’identità e che accumula in essa quelle scelte, quei comportamenti e quegli atteggiamenti dai quali scaturiscono le nostre pratiche di vita, secondo le modalità con cui ciascuno di noi fa esperienza.
Per un verso, questo vuol dire che la nostra vicenda esistenziale è un grande dizionario, molto personale al punto di essere quasi un’impronta digitale, anche se semanticamente connesso al contesto domestico, amicale, lavorativo, della comunità, di un’area geografica e via via fino a salire ai gradi più generali e rarefatti dell’appartenenza culturale. Dunque, comprendersi, diventare consapevoli di sé per intraprendere percorsi e scelte di vita migliori di quelli che finora siamo riusciti a conquistare, consiste esattamente nel dispiegare le pagine del dizionario che noi siamo e nel ricostruire per ogni parola l’etimologia e le interdipendenze tra un’esperienza e l’altra e tra le esperienze e i contesti in cui viviamo. Detto ciò, non è certo in questo intreccio linguistico che si esaurisce tutta la complessità che ci portiamo appresso. Potremmo dire invece che il vocabolario che ci caratterizza è solo uno degli strati, forse quello a noi più accessibile, per cogliere i mutamenti del nostro corso d’acqua in cui la vita continua a transitare con un flusso ininterrotto di accadimenti.
Per un altro verso, la metafora etimologica ci indica una via di comprensione di noi stessi che contraddice l’abituale forma mentale con cui ci percepiamo. Come nelle parole il significato non preesiste alla loro storia ma ne è piuttosto la più recente evidenza visibile, allo stesso modo anche l’identità personale non preesiste alle esperienze che la vanno ripetutamente costituendo. La sorgente del fiume è sempre aperta; il bacino, inizialmente originato, non fa che riempirsi; mentre l’acqua sborda dai contorni e modella l’alveo in forme impercettibilmente sempre nuove. Noi, insomma, non siamo che questo: la conseguenza ultima di un movimento, ciò che, a un certo punto, possiamo illuderci di imbrigliare in una definizione ma che, a tutti gli effetti, persiste nella sua ininterrotta vitalità, nel suo inarrestabile cambiamento.
Di tutte le parole che compongono il nostro dizionario, alcune possiamo considerarle “sorgive”, perché ritornano abbondantemente nella nostra narrazione che facciamo di noi stessi; ci indicano una via privilegiata alla scoperta di quelle motivazioni che hanno modellato il nostro percorso. Occorre però una precisazione: non motivazioni che ci appartengono ma, al contrario, motivazioni a cui noi apparteniamo, di cui siamo il risultato. In altri termini, le parole sorgive sono quelle che vengono prima di noi. Sono il racconto di una serie di risposte e adattamenti che la vita ha messo in atto con se stessa e che ha dato luogo a quello specifico campo d’azione che ora delimitiamo con la nostra identità.
Le parole sorgive sono allora gli echi più evidenti, e in questo senso più istruttivi, che ci possono dire da dove veniamo, dove andiamo e chi siamo in quel fragile frangente di tempo nel quale abbiamo l’illusione di poter dare un nome definitivo alle cose. La loro purezza non sta nella nostalgia del passato, ma nel chiarimento che esse conferiscono al presente quando le interroghiamo.