Portatori di stelle

Ho lasciato vagare l’immaginazione per anni in cerca del futuro, poi ho imparato a guardare le stelle ancorandomi alle robuste radici dell’esperienza.

Vincent Van Gogh, Notte stellata sul Rodano

Ho sempre avuto una passione per la parola «futuro». E ho sempre identificato il futuro nel profondo delle notti stellate, perché a guardarle – anzi, a lasciarsene rapire – si prova quel senso di vertigine e di immensa possibilità che ogni futuro suggerisce nella sua pur inquietante incertezza. Tuttavia, questa immagine vivida, che affondava le sue propaggini fin dentro l’intimo del mio cuore, mi è costantemente apparsa come un ritratto immobile, intangibile, inarrivabile. Un destino che un giorno sarebbe venuto, ma un giorno collocato in maniera crudele fuori dal tempo.

Le ragioni di questa distanza sono in realtà assai semplici, se prendo in considerazione la mia ostinata volontà di criticare sospettoso anche le più promettenti promesse che la vita mi ha offerto. E se aggiungo al quadro d’insieme un desiderio di recidere il passato, di superarlo, di accantonarlo; come se avessi voluto estirpare quei lacci che, trattenendomi a terra, mi impedivano di toccare serenamente le stelle cui avevo ambito.

È in questa condizione, per così dire, forzata e alterata dalle passioni che il potere della cultura ha fatto irruzione nella mia vita. Scombinandola e sconvolgendola. Dando all’eccesso di razionalità, che per troppo tempo avevo alimentato, uno schema utile a costruirsi una via d’uscita.

L’occasione è passata da una frattura aperta nel Concetto di tempo, un libretto angusto e ritorto con cui il pensatore tedesco Martin Heidegger ha dato i primi indizi della sua filosofia. Pur nella complessità della lettura, la sostanza è piuttosto semplice. Che cos’è il tempo, si domanda Heidegger? Nulla più che il fenomeno emergente di una nostra esperienza esistenziale. Il tempo non esiste se non come effetto del nostro continuo immaginare l’istante che sta per arrivare; e con esso, la necessità di riprogrammare il significato di tutta la nostra esperienza.

Fino a quel momento avevo vissuto lo scorrere degli anni come la corsa affannata sullo scivolare via del tempo. Ora Heidegger mi aveva posto un freno. Mi aveva sussurrato all’orecchio che il tempo è l’illusione degli uomini quando separano l’immaginazione e il futuro dalla memoria fisica della loro più concreta materialità. E Heidegger, a dire il vero, non è stato in questo l’unico mio ispiratore.

In ogni caso, banale o meno che sia questa conclusione, voglio testimoniare che ho riguardato con altri occhi la profonda immensità del cielo notturno. Per un’epoca che pungola ripetutamente a cogliere il prossimo istante, il prossimo obiettivo, il prossimo desiderio, io credo ci sia bisogno di ritornare con i piedi per terra non meno di quanto ce ne sia di fermarsi a contemplare le stelle. Facendosene, se possibile, portatori sinceri. Magari ingenui, persino inesperti e sprovveduti.

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