Questione di sfumature

La sfumatura è un’increspatura del linguaggio che permette di cogliere a pieno l’esistenza. Ma è anche uno strumento pratico per gestire le nostre incertezze.

Giorgio Morandi, Natura morta, 1948

Qualche anno fa sono arrivato a una conclusione cui, di fatto, non ho mai più rinunciato. La verità è un grande silenzio. Una totale assenza di linguaggio che, tuttavia, non implica l’assenza assoluta di qualsiasi esperienza. Potremmo piuttosto parlare di una tale assenza come di una progressiva rarefazione, fino a raggiungere quella dimensione imprendibile, o forse meglio, non catturabile dell’esistenza espressa dal concetto di ineffabile. Una parola, questa, che rimanda alla suggestione della sfumatura e che la pone come sottilissima trama del reale.

A volte la verità, quando è intesa, per esempio, come progressione verso la consapevolezza di se stessi, viene raffigurata simbolicamente con l’immagine della spirale, che si diparte dal centro e, ruotando su se stessa, accede a una condizione di sapienza sempre più elevata. Mi sono spesso chiesto se questo movimento a spirale, dall’interno verso l’esterno – suggerito peraltro dall’esperienza: il crescere di un fiume, il divampare di una fiamma in tutte le direzioni, la ramificazione di un albero a partire dalle sue radici,… –, non dovesse essere in realtà letto in direzione opposta. Vale a dire: dall’esterno verso l’interno, dalla periferia verso il centro, dallo spazio illimitato cui la spirale allude verso la ricerca di un limite e di un equilibrio nel suo centro. In altri termini, la spirale non è un percorso dal finito verso l’infinito, ma, viceversa, dal luogo della massima indeterminazione verso un Io che emerge come ritaglio sempre mobile e provvisorio.

La stabilità della propria identità si rivela, in questo senso, essere un’illusione. Ciò che le parole credono di delimitare con crescente precisione, sfugge a qualsiasi definizione e trasforma la verità non in qualcosa di detto, ma, al contrario, in qualcosa che è ancora sempre da dire, che diventa vero unicamente nell’istante in cui si realizza.

È in questa incompletezza strutturale che il potere delle sfumature può esercitare efficacemente la propria influenza. La sfumatura, infatti, chiede al linguaggio di rinunciare alla sua chiarezza, alla sua determinatezza, per così dire, alla luce accecante di Apollo che tutto illumina, e che trattiene come elementi di verità solo quanto accade sotto l’egida delle parole. Tutto il resto si inabissa. La potente, ma impronunciabile, forza degli strati dimenticati sotto il livello della coscienza viene considerata una pura ombra, cioè una realtà inconsistente, anche se continua ad agire come una voce nascosta alla quale Sigmund Freud rende omaggio nella Psicopatologia della vita quotidiana (Bollati Boringhieri, Torino, 2012).

È esattamente questa affermazione di Apollo su Dioniso – intesi come archetipi – che, secondo Carlo Sini (Il metodo e la via, Mimesis, Milano, 2013), e ancora prima secondo Nietzsche, ha decretato la fine della civiltà arcaica e ha inaugurato la nascita della filosofia e della scienza occidentali. Occorre, dunque, risalire la china fino a quel punto per apprezzare un diverso significato dell’incertezza, dell’incompletezza e della sfumatura; aspetti che solo tra le vicende artistiche hanno conservato il loro valore. Lontana dall’essere un’imprecisione del linguaggio, infatti, la sfumatura è invece la sua espressione più elevata, quella che richiede la massima abilità con le parole. Così raccomanda Paul Verlaine nell’Arte poetica:

Sia la musica prima d’ogni cosa,
e quindi il metro dispari è il migliore,
più vago e più solubile nell’aria
senza nulla in lui che pesi o posi.

È anche necessario tu non vada
a scegliere parole senza errore:
niente di più caro grigia canzone
dove l’Impreciso al Preciso si sposa.

Paul Verlaine, Art poétique, 1874 (traduzione mia)

Ora, ci si potrebbe domandare perché assillarsi con le sfumature. Ci sono almeno due ragioni che giustificano questo interesse nella nostra attualità. La prima è che in un clima di cambiamenti drastici e repentini, l’esercizio delle sfumature rende più facilmente praticabile l’adattamento, poiché educa a non irrigidirsi nella visione chiara, definita, ma altrettanto limitata, che il controllo razionale, persino ossessivo, del linguaggio vorrebbe imporre sull’esperienza. Da qui ho cercato di uscire negli ultimi dieci anni.

La seconda ragione risiede, invece, nella capacità di mantenere sfumati i contorni delle proprie opinioni, perché è in questo modo che la polarizzazione, la polemica e la sterilità di molte affermazioni possono essere sostituite da un’autentica disponibilità al dialogo e all’integrazione di altri punti di vista. Questo vale dalle questioni personali fino a quell’ormai consolidata abitudine di affermare la propria identità (culturale, politica, di genere, ecc.) in contrapposizione a una diversità considerata illegittima.

Potremmo dire, in sintesi, che le sfumature – ispirate, per esempio, dai bordi silenziosi della poesia o dalle espressioni figurative come quella di Giorgio Morandi che ha incorniciato questa riflessione – sono quelle increspature del linguaggio che non rendono necessario a tutti i costi catalogare e certificare ogni porzione dell’esperienza. Piuttosto, la ricerca di un centro e di un limite – per riprendere la metafora del percorso a spirale dall’esterno verso l’interno – si presta a una nozione di verità che non pretende di totalizzare il vissuto. Casomai stabilisce, in quel centro, un punto di equilibrio dinamico sul quale fluttuare, propagando lungo tutta la superficie dell’esistenza la sorgente ineffabile della vita.

«Ineffabile», letteralmente, che non può essere proferita dalle parole, che è un grande silenzio, ma che le sfumature hanno la capacità di lasciar intuire.

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