Ricordare e dimenticare
Paradossalmente, ricordare è dimenticare, e viceversa. Dimenticare è un metabolismo che restituisce ai ricordi la loro piena vitalità.

«Se avessi fatto cose diverse, se avessi fatto scelte diverse…», oggi forse sarei un ricercatore universitario, un biologo molecolare, uno scrittore, un direttore del personale in qualche azienda, un monaco di clausura rinchiuso nella pace di qualche abbazia. Queste sono alcune delle personalità che mi vengono a trovare; o se preferite definirle in maniera meno psicotica, sono le molte vocazioni in tensione tra loro, che tutti sperimentiamo, senza le quali non sentiremmo la chiamata a vivere. Solo chi è morto, infatti, può dirsi un’identità compiuta, un’individuazione – non necessariamente consapevole di sé – completamente risolta.
«Se avessi» è l’incipit di una domanda con cui, perciò, è spesso difficile riappacificarsi. È una memoria, talvolta insistente, che rimanda a possibilità sorpassate, a ipotesi che, in qualche modo, dovrebbero trovare una definitiva archiviazione nell’oblio. «[..] Sia nella massima sia nella minima felicità è sempre una cosa sola quella per cui la felicità diventa felicità, il poter dimenticare. […] Per ogni agire ci vuole oblio: come per la vita di ogni essere organico non ci vuole soltanto luce, ma anche oscurità».
Queste parole sono scritte da Nietzsche in un testo che, paradossalmente, rivendica la cultura della storia (Sull’utilità e il danno della storia per la vita, trad. it., Adelphi, 1974). Non quella imbalsamata che vorrebbe fermare il tempo in un’ideale perfezione – penso a quei musei, grandi e piccoli, che congelano le espressioni e le tradizioni del passato in un nostalgico paradiso perduto. Mi riferisco, piuttosto, a quella cultura storica e genealogica che ricerca nelle radici personali, e in quelle collettive, le ragioni, le risposte, le contraddizioni che continuano a fruttificare nella vita attuale.
Con un altrettanto paradosso, si potrebbe allora dire che ricordare è dimenticare, e dimenticare è ricordare. Come in un pranzo troppo abbondante, le abbuffate di ricordi diventano rigurgiti che rendono i ricordi acidi e sterili per il benessere del corpo e dell’anima. Solo una dieta equilibrata di meditazioni e di distacco può metabolizzarne la loro presenza ingombrante e trasformarli in scorie da espellere, poiché da essi tutto il nutrimento è stato tratto. In un certo senso, che trova analogie col biologico, ricordare è lasciare che le tracce di esperienza, una volta digerite, vengano incorporate dall’organismo: quasi che fossero una rete di richiami sotterranea con cui formare una memoria silenziosa e diffusa in tutto il corpo.
Forse è proprio questa memoria, lasciata volontariamente al buio della coscienza, l’oscurità di cui parlava Nietzsche. Sapere che nulla, in realtà, viene perduto. Ma sapere anche che solo una fisiologia dell’oblio e del distacco – può rendere alle esperienze una vita nuova e può rigenerare tutto il nostro essere.