Ritagliarsi una vita felice
La felicità è la meditazione consapevole del gesto che ritaglia la vita. È, al tempo stesso, esperienza creativa, ricerca di significato ed esercizio di libero piacere.

L’interesse per i documentari storici mi ha educato a pensare che la storia è tale solo per chi la racconta a posteriori. Mentre gli avvenimenti corrono, nessuno può immaginare la narrazione – cioè il senso – in cui essi un giorno prenderanno forma. Anche sul piano personale seguiamo le medesime sorti. Ciò che appare un senso compiuto, alla conclusione di una vicenda, è in realtà un intreccio di tendenze spesso contrastanti, conflittuali, che cercano di affermare la propria carica espressiva.
Questo discorso implica che il senso e l’identità di una storia si costituiscono solo nell’atto stesso del «ritagliare la realtà» (con questa formula, mi appoggio alla metafora delle forbici in azione sulla «stoffa del reale», che Bergson utilizza in alcuni passi della sua opera). Ma i ritagli non sono casuali, arbitrari, relativi – cosicché qualsiasi realtà diventa possibile. Al contrario, come nello svolgimento di una composizione musicale o nell’azione di un falegname che segue le venature del legno che sta lavorando, le linee di demarcazione con le quali si definisce virtualmente il corso degli eventi, sono possibilità interpretative dettate dallo svolgimento stesso della storia. Ogni realtà ha una sua eredità. Ogni possibile sviluppo è sempre in relazione al contesto di cui ha memoria. Una memoria, tra l’altro, che mi include; vale a dire che contiene dentro di sé il soggetto che la produce.
La felicità – che qui definiamo in qualità di azione percepita come guidata da uno scopo – è, allora, la meditazione consapevole del gesto che ritaglia la vita. Essa, da una parte, rende compiuta l’esistenza di chi la sperimenta. Ma, dall’altra, gli consente di rimanere aperto ai cambiamenti possibili che quelle linee continuano a disegnare silenziosamente.
In altri termini, ritagliarsi una vita felice equivale a compiere, nel medesimo tempo, tre differenti operazioni. La prima: un’esperienza creativa, o se si vuole di apprendimento, con la quale intervenire attivamente – alias: imparare – nello svolgimento della storia. La seconda: una ricerca di significato e, nel suo procedere, di verità; dove verità è l’incontro con il nostro vissuto. La terza: un esercizio di godimento e, insieme, di libertà, poiché lasciare che l’una o l’altra linea raggiunga la piena espressione è come dire che l’uno o l’altro tra i bisogni profondi da cui è mossa è stato accolto; è stato, in qualche modo, emancipato dalla sua condizione di mera contingenza per assumere il ruolo di artigiano del senso, di sarto consapevole che confeziona l’abito il quale infine diventeremo.
Si potrebbe, perciò, concludere che ritagliarsi una vita felice è l’atto di cucire una memoria in continua evoluzione. Essa sarà la sorgente da cui trarre gioia ma anche medicamento, quando qualche volta, nella stoffa del reale, si producono strappi dolorosi che solo un rammendo accurato può tentare di riparare.