Riveder le stelle
La cultura digitale chiede quantificazione e razionalità. Ma siamo più di quello: un’eccedenza che pure incerta ci investe di luce e di vita.

«Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura», nella quale avevo deciso di sovrapporre totalmente la mia identità con quella del mio lavoro. È stata una scelta desiderata e intenzionale. Ma, inutile dire che quando le aspettative – o le immaginazioni – professionali sono rimaste larvali, incapaci di delinearsi in un profilo compiuto, la notte è scesa plumbea e intramontabile nelle mie giornate. È stato il colloquio con una giovane amica a disarticolare le mie convinzioni e a mostrarmi che il concetto di lavoro, pur indispensabile, può essere letto come un incidente tra due istanti dell’esistenza.
A distanza di qualche anno da quell’episodio, ricordo piuttosto bene quanto in quella scelta fosse stata determinante la cultura digitale di cui mi ero circondato. Ho lasciato che la retorica della novità e dell’innovazione premesse sui miei fianchi, affinché partorissi un’idea di me completamente definita, misurabile, quantificabile, posta sotto il controllo del dominio razionale fino all’annullamento di qualsiasi elemento di eccedenza. Lì è iniziato il tramonto e poi la notte, in un orizzonte, per la verità, che aveva alle basi ben altre questioni irrisolte cui con una ragione estrema pensavo di poter dare sollievo.
Non rinnego ciò che ho imparato, né lo rimpiango. Conservo di quell’approccio strumenti che ancora oggi mi sono utili e che sto plasmando in un impasto di tutt’altro sapore. Per fortuna il mio lievito madre ha continuato a germinare. E oggi il mio più grande interesse è (ri)diventato ciò che definirei «il problema dell’esistenza»: quell’eccedenza dell’essere umano che va oltre il lavoro e il quotidiano; ma che, al tempo stesso, li investe di una luce e di una vitalità sempre rinnovate. Il lavoro, no, non è un mero incidente: ma, rovesciando i rapporti, è uno tra gli esiti e non la premessa della mia identità. Su questi passi, io credo, diremo un giorno che «quindi uscimmo a riveder le stelle».