Sapere concreto

La vita nasce quando un certo sapere muore dentro di noi e uno nuovo prende il suo posto. Lo si può riconoscere dalla sua concretezza, dal fatto che ne siamo gli autori.

Theo van Doesburg, Kurt Schwitters. Kleine Dada Soirée. 1922

Un tempo amavo le dichiarazioni e i manifesti. Ho sempre avuto un debole per le avanguardie storiche, come il Futurismo e il Dadaismo, che hanno trasformato le parole in immagini e le hanno utilizzate per immettere messaggi dirompenti nelle convenzioni del loro tempo. I miei motti sono stati molteplici, sinceri, ancora oggi portatori in un certo qual modo del loro pezzo di verità. Eppure essi si sono dimostrati continuamente parziali e insoddisfacenti. Del resto, quando mi sono affrettato a dichiarare con risolutezza una convinzione, non di rado sono stato smentito dalla realtà dei fatti.

Complici i percorsi formativi che ho intrapreso negli ultimi dieci anni, un torrente carsico si è insinuato nei miei pregiudizi. È cominciata così un’opera di pulizia, un vero e proprio smontaggio, che mi ha progressivamente convinto a rinunciare sia alle dichiarazioni di intenti e di valori che ai manifesti programmatici. Al loro posto, con un’immensa fatica nel guardare la vacuità delle asserzioni che fino a quel momento avevo fatto, si è aperta una strada che definirei di «contemplazione attiva»; cioè un comportamento che cerca di osservare gli eventi nel loro svolgersi, piuttosto che restare in attesa degli ideali risultati che l’etica dei princìpi spera di ottenere.

Nella Controstoria della filosofia, curata da Federico Leoni per la casa editrice Orthotes, ho trovato uno schema che esprime compiutamente la trasformazione in cui mi sono trovato coinvolto. Leoni esordisce con la figura di Socrate, assumendo una posizione tutto sommato minoritaria secondo la quale Non c’è niente da sapere. In un continuo rincorrersi di conoscenze, di metodi, di innovazioni, di casi studio – oggi così magistralmente esibiti da canali di informazione come LinkedIn – Socrate suona al pari di un promemoria che ricorda quanto tutta questa mole di conoscenza non sia una vera risorsa al servizio – diremmo oggi – del cliente, ma, piuttosto, una vetrina luccicante che ancora prima di convincere gli altri serve a non farsi risucchiare dal dubbio della propria inconsistenza. Nella tradizione, infatti, Socrate è raccontato come un tafano, un pungolatole, diciamo pure: un rompiscatole, che ha dato avvio alla filosofia come ricerca di una verità cristallina. Mentre – è la tesi della citata Controstoria – egli sarebbe un elemento disturbante che ha pagato con la vita la volontà di mostrare una verità tanto scomoda: quella secondo la quale ogni essere umano è una maschera la cui apparente originalità è stata disegnata da altri. Dunque, il primo punto su cui vorrei soffermarmi, è la possibilità di inoltrarci in una verità taciuta di cui Socrate è il portatore. Guardando noi stessi «al di là dello specchio» – uso intenzionalmente questa espressione pensando alle assurdità incontrate da Alice come a un travestimento del metodo socratico – possiamo evocare la potenza rigenerativa, anche se inquietante, dell’immaginazione per aprire una via di accesso alternativa alla vita; una via apparentemente più nuda, però più intensa, più autentica rispetto a quella che stiamo interpretando.

Questa funzione distruttiva, e al tempo stesso trasformativa, del pensiero è resa ancora più evidente se si pensa alla condanna e alla morte di Socrate in maniera metaforica. Chi muore e chi non muore veramente, si domanda Leoni? Ed ecco allora il secondo punto che mi ha colpito. Perché, se ripenso alla mia vicenda personale – allo squasso, alla crisi, alla voragine che a un certo punto del percorso mi ha travolto – ritrovo la stessa esperienza che è raccontata non solo dalla storia di Socrate ma dal modello canonico di qualsiasi romanzo, film, mito o leggenda. Un’esperienza di morte e resurrezione con la quale, dismessi gli abiti del vecchio Io, il protagonista cessa di essere il sapere tessuto dalla famiglia, dall’educazione, dalle norme sociali, dai condizionamenti e dalle relazioni che ha vissuto; il suo compito è trovare (o meglio, smontare) se stesso. In effetti, è così che ho abbandonato certezze dichiarazioni e manifesti e ho provato a essere io l’autore delle mie parole.

Inutile dire che questo processo di decostruzione e ricostruzione della verità è, per l’appunto, un processo. Nuovi depositi di un sapere subìto si formeranno lungo la strada. Perciò, una volta di più dovrò ricorrere a questo esercizio.

Non è facile compiere un’inversione di pensiero quando quest’ultimo è radicato dentro di noi. Non è facile cambiare il punto di osservazione. E così: smettere di collocarsi davanti al presente, sperando che tutto vada secondo presunte intenzioni; per porsi invece dietro di esso, ma in cammino, guardando i valori che emergono passo dopo passo mentre le azioni producono il futuro.

In fondo, di una cosa sono grato ai manifesti che le avanguardie storiche hanno redatto. Hanno contribuito alla mia educazione nel maneggiare le parole, cercando il suono e la forma della loro potenza. Questa è la risorsa più rilevante che ritengo di aver maturato; che posso mettere al servizio di altri per soddisfare i bisogni di autenticità e di concretezza ai quali rinascere mi ha messo di fronte.

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