Il filo del successo

Il successo, lontano dall’essere un risultato materiale, è la consapevolezza di un’eredità. La connessione tra ciò che è accaduto e la capacità di comprenderne cause, sviluppo ed effetti.

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Qualche tempo fa ho incontrato una considerazione semplice ma illuminante: il fatto che «successo» non è altro che il participio passato di succedere, e che con ciò esso si risolve nell’abilità pragmatica di realizzare gli obiettivi fissati a monte da una strategia.

In effetti la stessa etimologia del termine suggerisce che il successo sia il risultato di un’azione e, pertanto, il suo buon esito. Quello che però manca a questa rappresentazione è che la parola conserva un’eco di movimento, a indicare che il successo è, quantomeno, un’evoluzione, una condizione che non si acquisisce mai stabilmente. E infatti sappiamo, leggendo le storie di nomi illustri, quanto facile e rovinoso sia precipitare da quella posizione. Si potrebbe dire, in conformità alla radice del verbo «succedere» – da sub- e cèdere, venire dopo, entrare al posto di altri –, che il successo è una condizione che rimanda costantemente a quello che ancora deve accadere.

A riprova di ciò, lo stoico Epitteto, nel suo Manuale, pone il successo tra le cose non dipendenti da noi e sulle quali non bisognerebbe fare conto: «[1]La realtà si divide in cose soggette al nostro potere e cose non soggette al nostro potere. In nostro potere sono il giudizio, l’impulso, il desiderio, l’avversione e, in una parola, ogni attività che sia propriamente nostra; non sono in nostro potere il corpo, il patrimonio, la reputazione, le cariche pubbliche [oggi diremmo: la carriera e il successo personale] e, in una parola, ogni attività che non sia nostra. [2] E ciò che rientra in nostro potere è per natura libero, immune da inibizioni, ostacoli, mentre quanto non vi rientra è debole, schiavo, coercibile, estraneo. [3] Ricorda, allora, che se considererai libere le cose che per natura sono schiave, e tuo personale ciò che è estraneo, sarai impedito, soffrirai, sarai turbato, ti lamenterai degli dèi e degli uomini […]» (Epitteto, Manuale, 1,1-1,3, trad. it. Enrico V. Maltese, Garzanti, Milano, 2000). Ciò che, in effetti, esiste non è il successo ma il perenne cambiamento all’interno del quale ogni cosa è, per natura, un elemento incontrollabile del succedersi di tutte le cose.

Eppure, per quanto detto finora, ne consegue una conclusione paradossale: il successo è parte integrante della nostra quotidianità. A patto di considerarlo non come un obiettivo da conquistare, ma come la capacità di accogliere gli eventi rendendo ragione della nostra azione.

Nella etimologia di «succedere» è incorporata la concezione di eredità. Come a dire che, virtualmente, siamo sempre portatori di un successo nella misura in cui abbiamo consapevolezza della sua origine, del suo sviluppo e degli effetti che esso produce quando intratteniamo con quest’ultimo un reciproco rapporto.

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