Un senso di miglioramento
Che cosa significa migliorare? È solo una misura razionale per aumentare la produttività o è un processo creativo con cui scoprire se stessi?

Il mio rapporto con parole come miglioramento, valutazione e progresso è da tempo immemorabile assai conflittuale.
In una concezione lineare e, per così dire, teologica del tempo – come quella in cui, forse senza quasi più accorgercene, continuiamo a restare immersi – migliorare è la conseguenza di un fine ultimo posto all’estremità del tempo stesso: è un imperativo, una necessità, una costante esistenziale senza la quale la promessa di un senso ultraterreno non avrebbe alcun significato. Max Weber ha svolto in questo ambito interessanti analisi.
Ma andando a scartabellare fra le pieghe della sua etimologia, ho trovato anche che il concetto di miglioramento ha una sicura relazione con il greco màilon o màllon, il quale, tra gli altri significati, indica il più forte; per aprire nella forma superlativa la strada verso magnus, vale a dire ciò che domina. Cosicché il miglioramento assume i tratti di un’azione, per esempio, di «conquista del mercato» o di «difesa dei valori».
Nello stesso dizionario, tuttavia, il concetto di meglio offre suggestioni che si rifanno alla parola nuovamente greca meília, da cui deriverebbe miele: rendendo migliore semplicemente ciò che diletta e rallegra, ciò che rende caro qualcosa. Ecco allora che migliorare la vita o il lavoro si verrebbe a configurare come un atto di disponibilità alla gioia; come un processo di scoperta per ciò che abbiamo di più caro e dunque di affine alla nostra personalità. Detto in modo più creativo: che va costituendo il senso della nostra identità, in un processo dinamico, spesso non lineare, dal quale il valore emerge in conseguenza al nostro appassionato impegno.
Quale sia il senso del miglioramento, allora, potrebbe essere posto con una domanda. Vogliamo migliorare intendendo con questo una sfida, una ricerca, una scoperta rivolta verso le nostre più interiori capacità di immaginare la vita? O vogliamo accovacciarci sotto l’ala di un’autorità che decreti il nostro miglioramento con l’accumulo di punti premio al supermercato dell’esistenza?
«…Pensi di dover volere più di quello di cui hai bisogno, finché non avrai tutto non sarai libero» – recita con fare critico Society di Eddie Vedder, di cui vi invito a godervi il video e che trovate qui tradotta. Non ho una risposta definitiva, ma il senso che do al miglioramento non è certamente una mera misura di produttività arrivata, io credo, al suo estremo capolinea.