Unire radi e leggeri puntini

In una visione sfocata della realtà conviene interpretare quest’ultima unendo punti radi e leggeri, capaci di assorbire l’impatto delle incertezze crescenti.

Louis Moillet, Paesaggio presso Tunisi, 1928

Non ho mai visto tanto bene come in questo momento. Chi, per una qualche ragione, ha sperimentato la progressiva rarefazione del campo visivo può avere avuto la reazione propria del pensiero umano di colmare i vuoti e le mancanze di dettagli per modellare gli elementi dell’ambiente con la percezione di una nuova realtà. A volte il gioco di luci e di ombre è fonte di abbagli e di imprecisioni; un inganno dei sensi che acquisisce solidità grazie all’intervento suppletivo del cervello. Ma è proprio questo processo di approssimazioni che consente di approdare a un diverso quadro d’insieme, a una «creazione del mondo» che si sviluppa in corso d’opera.

Carlo Rovelli, nel suo libro Helgoland (Adelphi, 2020, p. 190), si appella ai recenti studi neuroscientifici per giustificare una radicale inversione nel modo di concepire la percezione e, con essa, l’intero rapporto con ciò che abbiamo intorno. Analizzando per l’appunto il caso della percezione visiva, quest’ultima non andrebbe dall’occhio al cervello ma dal cervello all’occhio, così da confermare o riformulare le immagini mentali secondo il principio del minimo impegno cognitivo. Se ciò che mi rappresento è avvallato dall’esperienza non c’è ragione di modificare lo schema consolidato; se, al contrario, questa congruenza viene perduta, allora vale la pena costruirsi un’ipotesi interpretativa del reale adeguata alle modificazioni del contesto. Un’ipotesi però che rende chiara l’inconsistente natura delle cose e ne rivela, sia sul piano fisico che su quello spirituale, la mera condizione di evento, la loro provvisoria, quasi precaria verità.

A dire il vero già Epicuro, nel III secolo a.C., sostiene che l’essere umano si serve di anticipazioni mentali confermate successivamente da sensazioni e sentimenti (Francesco Adorno, Ellenismo, Diogene Multimedia, 2017). Come dire che nel rapporto tra mente corpo e anima (discorso, percezioni e aspetti emotivi) c’è una continua rigenerazione dei significati che riceviamo in eredità dall’esperienza, dall’educazione e dalla cultura in cui siamo immersi, potremmo persino dire dal nostro DNA; ma anche che la struttura di relazioni, che organizza il flusso altrimenti impronunciabile e incomprensibile della coscienza, evolve nel tempo a seconda dei cambiamenti di cui la stessa esperienza si fa testimone.

L’espressione «unire i puntini» sembra allora poter riassumere sul piano pratico questa visione. In buona sostanza, le contraddizioni del reale, e nello specifico i rovesci che viviamo lungo il corso della vita, possono sempre acquisire un senso e un significato inediti se collocati dentro uno schema concettuale alternativo. Essi diventano possibilità emergenti quando un modello che ha esaurito il suo bagaglio di utilità si dissolve e deve essere quindi rinnovato. Per inciso, la metafora di «unire i puntini», resa iconica dai discorsi ispirazionali di Steve Jobs, non poteva che avere fortuna proprio nelle dinamiche distribuite e caotiche della Rete. Una serie di nodi, appunto, nei quali la narrazione degli eventi potrebbe iniziare e concludersi in un punto qualsiasi e con un qualsiasi percorso di connessioni. In altre parole, la metafora di «unire i puntini» racchiude in sé la complessità che quotidianamente ci troviamo a governare e in cui la nostra identità si disgrega e si riassembla seguendo un disegno mai risolto, in continua trasformazione.

A fronte di questa vivace, e per certi versi eccessiva, esuberanza del cambiamento non manca certo il desiderio di contrapporre, per un attimo, una stabilità che ci conceda il sollievo di qualche respiro. Forse ci basterebbe allargare le maglie del quadro che i puntini mettono a fuoco. Forse, cioè, sarebbe sufficiente immaginare di unire tra loro quei punti in uno schema sempre più rado e leggero, capace così di assorbire l’impatto delle incertezze crescenti, proprio come gli errori che il nostro sistema percezione-pensiero impara a colmare. Insomma, meglio disporre una trama sicura ma impalpabile, fatta soltanto di luce e preparata a lasciarsi attraversare anche dagli eventi meno fortunati della vita. In ultima analisi, l’abilità di modificare rapidamente il senso dell’esperienza si riduce a quella di assecondare il dubbio – una rappresentazione abbozzata e temporanea – come strumento di elasticità del nostro benessere. In questo senso, la rarefazione progressiva del campo visivo non è più un’imposizione angosciante dettata dalla contingenza; quanto piuttosto il compimento di una libertà che fin dai tempi antichi è in attesa di essere realizzata.

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