Varcata la soglia

Al di là delle contraddizioni che caratterizzano l’esistenza, si apre un orizzonte che mette in contatto con le radici e con il divino che c’è nella vita.

Grotta di Byron a Portovenere

Una frattura mi attraversa da cima a fondo. Fin dalla prima giovinezza divide in due la mia vita, il mio atteggiamento verso di essa, i miei stessi comportamenti. Essa si esprime nelle vesti di un bisogno che è, allo stesso tempo, relazione e solitudine, curiosità e apatia, rigidi schemi e rifiuto delle regole. Queste sono alcune delle polarità che ho sentito negli anni coabitare dentro di me.

Ora, rileggendo le pagine introduttive del libro Il canone minore – volume scritto da Rocco Ronchi, che ho già avuto modo altre volte di citare e che ha ratificato un punto di svolta nella mia ricerca filosofica – torno a sentire pressante il tentativo di comprendere le ragioni di questa spaccatura, dentro la quale si nasconde il più grande dei misteri che la storia del pensiero abbia affrontato: come è possibile essere uno e molteplice; come posso io riconoscermi in quanto «Io» e, allo stesso tempo, constatare che sono frammentato in una miriade di eventi, in un continuo cambiamento destinato a far saltare la mia identità e, in un certo senso, la mia stessa sopravvivenza. Non a caso la morte, che è il condensato di questo sotterraneo conflitto interiore, è anche l’argomento rimosso del mondo contemporaneo; ciò cui nessuno vorrebbe pensare perché è la fonte primitiva di tutte le angosce. La morte, infatti, ci ricorda che un giorno ci dissolveremo; ma anche che ci dissolviamo già momento per momento e che, pertanto, l’identità non è un’acquisizione definitiva, quanto piuttosto un’eterna conquista, un sollievo dalla fatica del cambiamento.

La filosofia – solo all’apparenza disciplina teorica e speculativa – è allora il tentativo di rispondere a questa domanda così fondamentale; è la ricerca non solo razionale, ma anche intuitiva, creativa e sentimentale, verso un certo tipo di salvezza: in particolare, una salvezza che non affidandosi a dogmi e a fedi precostituite, ha il vantaggio di rigenerare all’occorrenza una comprensione profonda di se stessi e del proprio rapporto con il mondo.

Nel compiere questo percorso, scrive Ronchi, «La filosofia non è saggia. Ne si tocca con mano la dissennatezza da quanto osa affermare». Più nello specifico, l’autore riprende le parole di Platone per dire che «se l’Uno è» – se, cioè, esiste davvero la possibilità di concepire se stessi come unità armonica e indissolubile – quell’Uno «dovrà patire tutto quello che patisce il vivente che vive. Niente gli sarà risparmiato. […] L’Uno è un tutto ed è infinita molteplicità, è in se stesso e in altro, in movimento e immobile, identico e diverso, simile e dissimile, uguale e diseguale, ecc. Vi si troverà il calvario che attende ogni vivente e con esso anche la gioia, il godimento, che lo caratterizza in quanto vivente che vive » (op. cit., p. 20).

Stando dunque a un certo approccio, benché minoritario, della filosofia – appunto, il canone minore –, c’è una via di salvezza laica alla condizione di angoscia che rischia costantemente di attanagliare l’esistenza. Essa consiste nell’accettare senza riserve la compresenza dei due aspetti che penetrano ognuno di noi: l’uno e il molteplice, l’essere se stessi e, insieme, una contraddizione di sé, che si manifesta con quelle fratture cui all’inizio facevo riferimento. Entrambe le condizioni sono vere, autentiche: io sono sempre la solida unità della mia storia, ma non cesso di essere l’infinita divisione nella quale mi trovo invischiato. Sono dentro e sono fuori; sono anima e sono corpo; sono spirito e materia; sono aspirazione ideale e necessità materiale, senza che ciò comporti alcun residuo.

Varcata la soglia delle aporie, di quelle contraddizioni logiche e paradossali che sembrano contraddistinguere i termini inconciliabili (per quanto nascosti) del nostro quotidiano, si apre un orizzonte capace di trascenderle completamente. In quell’orizzonte non c’è una risposta definitiva; al limite, ancora e ancora domande. E nonostante ciò – come mi è accaduto quando ho visitato i luoghi intorno alla Grotta di Lord Byron, a Portovenere –, le domande sono un vento battente e un mare tempestoso che promettono libertà senza precedenti. In altre parole, varcare la soglia tra la spinta delle domande e l’àncora delle risposte, significa assumere una postura spirituale con la quale trascendere se stessi. Qui, in questo esercizio che richiede notevole impegno ma che ricambia con altrettanto godimento, mi capita di sperimentare la riconciliazione: quando mi metto in contatto con le radici o, ancora meglio, con il divino che c’è nella vita.

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