Verità

La verità cambia, è un processo. È la conseguenza di una memoria che ha radici nell’esperienza. La verità non è un’immagine cui aderire, è un’etica con cui regolarsi.

Gray Trunk Green Leaf Tree Beside Body of Water

Le fate ignoranti racconta il percorso esistenziale di una donna, Antonia, nel momento in cui, morto improvvisamente il marito in un incidente, scopre su quest’ultimo una verità da cui resta sconcertata. Seguendo il filo di un indizio lasciato sul retro di un dipinto, viene a sapere che il marito conduceva da diversi anni una seconda vita, che l’amante con cui la condivideva è un uomo e che questo stesso amante è la porta di accesso a un intero mondo radicalmente diverso da quello che Antonia ha conosciuto nella vita di coppia. Si pone, dunque, il problema di quale sia la verità sul marito, dal momento che proprio questa verità, fino ad allora nascosta, mette in discussione non solo l’identità della coppia ma anche quella della protagonista.

Man mano che si svolge, la trama del film sembra delineare, insieme al nuovo mondo cui Antonia si affaccia, una diversa nozione di verità. Affermare il vero non è semplicemente dire come le cose dovrebbero stare, rendere palese ciò che prima era nascosto, portare alla luce dei fatti che rendono falso il rapporto della donna con il marito; piuttosto suona come vero la scoperta, da parte della protagonista, di cosa lei stia diventando e dell’inatteso che la circonda; un’identità che si fa via via più complessa e resta aperta al cambiamento – come il finale del film pare in qualche misura suggerire.

Osservata da questo punto di vista, allora, la verità non è statica, ferma, assoluta, ma cambia: è un racconto delle esperienze vissute che si inanellano una dopo l’altra, e che, con l’ingresso di nuovi personaggi nella scena, amplia il campo di azione, lo spazio vitale del soggetto narrato.

Al posto di un più tradizionale schema narrativo di tipo dialettico – vale a dire: c’è uno status quo, un evento traumatico che lo stravolge, una trasformazione del protagonista e del contesto che tornano a sé stessi con una nuova consapevolezza –, il film sembra adottare una dinamica, per così dire, incrementale: a ogni passo, Antonia si arricchisce ed evolve, dà vita a una verità più articolata che poggia su quella precedente, portando così dentro di sé la memoria dell’intera vicenda. Da una parte l’approccio dialettico prevede che il termine medio, antitetico, contraddittorio – la scoperta della vita parallela condotta dal marito –, faccia esplodere nella protagonista un conflitto latente, per poi sottrarsi dalla scena e lasciare che sia la vera identità del personaggio a venire finalmente alla luce. Dall’altra parte, invece, l’andamento incrementale descrive un processo che si sviluppa un momento dopo l’altro, in maniera indeterminata, o meglio: determinata soltanto entro un certo orizzonte temporale degli eventi. In tal modo, Antonia non è un’identità predefinita al di là delle contingenze, ma è fatta dalle continue differenze tra ciò che effettivamente è in quel punto e la memoria che ha di se stessa.

In un certo senso, le vicende della donna diventano le radici della sua evoluzione e se, inizialmente, il suo rigoglio è disorientato e incerto, con il passare del tempo esso si consolida, si fa più attento, diventa progressivamente più consapevole. «Chi sono io» è quanto consegue da una memoria che ha radici nell’esperienza, che produce attivamente il presente, senza che esso si rapprenda nella nostalgia di ciò che non c’è più.

Questa trasformazione del personaggio, questo percorso di verità che non dice chi sono ma come sono, è un evento incarnato in una storia, un terreno su cui altre storie ed altri eventi hanno continuamente luogo. Da narrazione individuale, la verità, che abbiamo appena tratteggiata, si amplia a narrazione collettiva. Io sono la genesi degli avvenimenti che mi hanno portato fin qua; ma quegli avvenimenti non sono isolati, sono invece in relazione con altri, con l’ambiente, con il contesto che le storie personali hanno come sfondo ma hanno anche contribuito a creare.

In una conferenza dal titolo La verità è un’avventura, Carlo Sini insiste proprio su questa aspetto: ogni persona è il punto, vivente e per nulla statico, in cui la verità transita. La conseguenza di queste considerazioni è semplice: la verità non si scopre, si vive, non si difende, si racconta. È poco utile credere di poterla sostenere in nome di qualche principio; meglio, forse, interrogarla, domandarsi che cosa essa comporta e quali scelte saranno, ragionevolmente, le più efficaci in una situazione data. In breve, la verità non un’immagine cui aderire, è un’etica con cui regolarsi.

Fonti consultate
Ferzan Ozpetek, Le fate ignoranti, Medusa Film,Italia, 2001
Ilya Prigogine, La fine delle certezze, Bollati Boringhieri,Torino, 2014
Carlo Sini, La verità è un avventura, Dante Channel,YouTube, 2017