Apparenza

Piuttosto che un’aggiunta artificiosa alla realtà, l’apparenza è la strutturale necessità di schemi, pregiudizi, abitudini, automatismi, indispensabili all’esistenza.

René Magritte, Le memoires d'un saint, 1960

Siamo abituati a pensare l’apparenza come quello strato che occulta la verità di qualcosa, la sua sostanza, ciò che sta sotto l’apparenza stessa. In alternativa, si potrebbe definire l’apparenza, tanto percepita quanto comunicata, come l’atto di conferire all’esperienza un ordine e una ragion d’essere funzionale alle esigenze della vita pratica. Allora, apparire non è più soltanto indossare, per così dire, un abito, coprirsi di uno strato di finzione allo scopo di nascondere una mancanza, esaltare un pregio o persino inventarlo con l’inganno, ma è quella forma senza la quale la mia esperienza sfuggirebbe a ogni criterio di sensatezza. Pensato in questo modo, il Velo di Maya delle apparenze, piuttosto che un’aggiunta artificiosa alla realtà, si qualifica come la strutturale necessità di schemi, pregiudizi, abitudini, automatismi, che sono indispensabili all’esistenza; una sedimentazione progressiva di ricordi privato dei quali mi troverei ogni giorno davanti all’insostenibile, e per questo insensato, sforzo di imparare da capo tutto ciò che ho appreso lungo il percorso.

Per riprendere un’espressione che ho avuto modo di apprezzare, i pregiudizi – che qui diventano le apparenze – sono come il mare per i pesci: un ambiente vitale di cui quell’animale narrante che è l’essere umano ha bisogno per orientarsi nel mondo. Pretendere di rinunciare alle apparenze sarebbe come pretendere di rinunciare a respirare, a vivere.

L’apparenza, dunque, è una strategia di sopravvivenza che mi permette di anticipare, attraverso schemi e pregiudizi, abitudini e automatismi, la mia azione possibile sulle cose e l’azione che le cose possono compiere su di me. In questi termini, il mondo è sempre un’esperienza a metà tra verità e menzogna, una costruzione mai del tutto veritiera, un’ipotesi, che però produce conseguenze concrete e verificabili sul campo.

Sul piano pratico, questa modalità di intendere le apparenze implica una maggiore attenzione nel formulare giudizi avventati o superficiali, e invita invece a interrogarsi sulle motivazioni che spingono me e gli altri ad assumere, più o meno consapevolmente, un certo aspetto o comportamento. Questa attività di analisi, questa messa tra parentesi del giudizio nota come epochè, è del resto un esercizio che posso applicare in primo luogo su me stesso; è un cammino che risale le ragioni delle apparenze per aiutarmi a comprendere quali siano i bisogni che cerco di anticipare, quali le mie paure, quali le mie aspirazioni, quali gli aspetti di me che considero così scontati, indiscutibili e autentici, da non riuscire a vederli per metterli, quando serve, in discussione.

Fonti consultate
Henri Bergson, Materia e memoria, ,, 2009
René Magritte, Le memorie di un santo, The Menil Collection,Houston, 1960